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Stelle cadenti:
Crisi della Partnership 
UE-Israele


25 Novembre 2024

Tempo di lettura: 15 minuti 
English Version Below


Con l’avvicinarsi del primo anniversario degli attacchi del 7 ottobre, i leader dell’Unione Europea hanno cominciato a segnalare un cambiamento nella loro posizione diplomatica verso Israele. Il Presidente francese Emmanuel Macron ha invocato un completo embargo sulle armi dirette verso il Paese, dichiarando che “la priorità è [...] smettere di consegnare armi” poiché “il Libano non può diventare una nuova Gaza” (Comerford, 2024; Livni, 2024). Pochi giorni dopo, il 15 ottobre, la Presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni ha anche annunciato che il governo aveva “bloccato tutto” per quanto riguardasse le licenze di esportazione di armi a Israele, in risposta alle azioni del Paese che hanno colpito i peacekeeper italiani in Libano (Middle East Monitor, 2024). Il 2 settembre, anche il Regno Unito ha annunciato la “sospensione immediata di 30 licenze per articoli utilizzati nel conflitto in corso”, citando un “chiaro rischio” che possano essere impiegati in violazione del diritto internazionale (UK Government, 2024).

Queste dichiarazioni si trovano in netto contrasto con il sostegno quasi universale che Israele aveva ricevuto dai leader Europei dopo gli attacchi del 2023. Macron stesso aveva promesso “solidarietà incondizionata” a Israele, suggerendo persino la creazione di una coalizione internazionale per contrastare Hamas (Caulcutt, 2024). I leader di Francia, Italia, Regno Unito e Germania avevano inoltre rilasciato una dichiarazione congiunta con gli Stati Uniti, affermando che: “I nostri paesi sosterranno Israele” e “rimarranno uniti e coordinati [...] come alleati e amici comuni [...] per garantire che Israele sia in grado di difendersi” (Magid, 2023). La Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha incarnato questa posizione filo-israeliana quando ha deciso di proiettare la bandiera israeliana sulla sede della Commissione, sottolineando il “diritto di Israele a difendersi – oggi e nei giorni a venire” (Konečný, 2024).

Cosa sta dunque guidando questo recente cambiamento retorico tra i leader europei? La questione può essere inquadrata come un conflitto tra le esigenze del “soft power” e “hard power”. L’Europa si definisce spesso come “fermo promotore e difensore dei diritti umani” (EEAS, 2024) e sostenitrice “dei principi del diritto internazionale” (EEAS, 2018). Questa immagine idealistica, tuttavia, si scontra attualmente con il suo sostegno a Israele, un alleato che agisce contro i valori che l’Europa afferma di difendere.

Questo articolo esplorerà in che misura la condotta militare di Israele stia sfidando la sua partnership strategica con l’UE e minando la legittimità di quest’ultima come promotore dei diritti umani e del diritto internazionale.



La Partnership Strategica UE-Israele


La partnership strategica tra Israele ed Europa è caratterizzata da profondi legami politici, economici e militari. Secondo il European External Action Service (EEAS), la relazione tra i due è “una delle più ampie e profonde che l’UE intrattiene con qualsiasi paese terzo al mondo” (EEAS, 2021). Analogamente, nel Novembre del 2021, i governi del Regno Unito e d’Israele hanno elevato i loro rapporti diplomatici a quelli di una “partnership strategica”, segnalando l’intenzione reciproca di approfondire ed espandere la loro cooperazione (UK Government, 2023). L’UE è anche il principale partner commerciale di Israele, rappresentando il 28,8% del suo commercio di beni nel 2022. Il 31,9% delle importazioni di Israele proveniva dall'UE, mentre il 25,6% delle esportazioni del paese era diretto verso l'UE. Nel 2022, il commercio totale di beni tra l'UE e Israele ammontava a 46,8 miliardi di euro (European Commission, 2024).

Inoltre, Israele ha partecipato a numerose esercitazioni militari congiunte con stati europei. L’Armée de l’Air francese partecipa biennalmente alle esercitazioni di addestramento “Blue Flag” con Israele nel deserto del Negev (Vincent, 2024). Nel 2020, Germania e Israele hanno condotto la loro prima esercitazione militare congiunta presso la base aerea di Nörvenich, nella Germania occidentale, con una flotta israeliana composta da sei caccia F-16 e due aerei da comando Gulfstream G-55 (Eddy & Schuetze, 2020). Inoltre, nel 2022, lo Squadrone 124 dell’Israeli Air Force (IAF), la Royal Air Force britannica e il Comando Aereo cipriota hanno effettuato esercitazioni congiunte presso la base aerea di Palmachim in Israele, simulando missioni di ricerca e salvataggio marittimo nel Mar Mediterraneo orientale (Fabian, 2022). Nello stesso anno, diversi jet F-35I Adir dell’IAF hanno partecipato all’esercitazione “Lightning Shield” insieme a quattro jet italiani F-53, decollando dalla base aerea israeliana di Nevatim (Fabian, 2022).

A livello geopolitico, la posizione geografica, le capacità militari e il sistema di governo di Israele rendono il paese uno dei più forti e affidabili alleati dell’Europa in Medio Oriente. Israele si trova infatti in prossimità di due punti di strozzatura marittimi economicamente significativi per il commercio europeo: il Canale di Suez e il Mar Rosso. Circa il 12% del commercio globale attraversa queste rotte, e nel 2022 circa il 30% di tutte le importazioni dell’UE dall’Asia ha viaggiato attraverso di esse (European Commission, 2024). Inoltre, le coste orientali del Mediterraneo di Israele rappresentano un’arena importante di competizione geopolitica per l’Europa, poiché potenze anti-occidentali come la Turchia e i proxy iraniani cercano di dominare l’area, vista la ricca presenza di gas naturale e le capacità di proiezione militare e difesa dei mari (Dentice, 2020). Il ruolo di Israele come stabilizzatore locale è quindi un grande vantaggio per l’Europa.

Israele possiede anche il terzo esercito più grande del Medio Oriente (Dudley, 2022), con 169.500 membri attivi tra esercito, marina e forze paramilitari, 465.000 riservisti e 8.000 membri di forze paramilitari (Al Jazeera, 2023). I soldati israeliani sono spesso considerati i più equipaggiati, addestrati e militarmente capaci della regione, grazie in gran parte all’assistenza militare statunitense

(Dudley, 2022). Inoltre, Israele è l’unico paese in Medio Oriente a possedere armi nucleari, con una stima di 24 missili capaci di trasportare testate nucleari e fino a 200 testate schierabili, che rappresentano un deterrente potente contro rivali circostanti (Butler, 2024).

Questi dati sarebbero di scarsa rilevanza per le potenze europee se Israele non fosse anche una democrazia ideologicamente allineata all’Europa, in una regione dominata da regimi autocratici e anti-occidentali (Yahya, 2022). Il paese rappresenta infatti un potente contrappeso alle ambizioni egemoniche e nucleari dell’Iran (Hunter, 2023), il cui governo attuale è nato e stato legittima attraverso una rivoluzione sociale caratterizzata da un intenso sentimento anti-occidentale (Göksel, 2019). Negli ultimi anni, l’Iran ha anche ampliato notevolmente la sua sfera di influenza regionale attraverso l’“Asse della Resistenza”, una rete di alleanze anti-israeliane e anti-occidentali composta da milizie e governi che si estendono dalla Striscia di Gaza, a Libano, Siria, Yemen e Iraq (Rubin et al., 2024).

Per comprendere meglio la partnership tra Europa e Israele, è essenziale analizzarla attraverso i quadri teorici che descrivono la formazione e la dissoluzione delle alleanze. Secondo Elefteriu (2023), le alleanze fungono da moltiplicatori di forza: migliorano le posture strategiche attraverso impegni politici reciproci; stimolano la crescita economica tramite scambi e investimenti reciproci; e ampliano la portata militare attraverso la condivisione di intelligence e l’addestramento congiunto. In particolare, le alleanze sono strumenti utili per contrastare pressioni avversarie e offrono la possibilità, soprattutto alle potenze medie, di attuare strategie più ampie che sarebbero individualmente irrealizzabili. Elefteriu (2023) sostiene anche che la fiducia tra alleati e la credibilità verso gli avversari sono determinanti fondamentali del successo di un’alleanza.

Muhammad (2023) afferma che nell’attuale ordine mondiale multipolare, le alleanze possono cambiare rapidamente in risposta a mutamenti negli interessi nazionali, riallineamenti geopolitici o all’emergere di nuove sfide regionali o globali. Per i neorealisti, le nazioni cercano partner che possano bilanciare rivali comuni, ma che vengono abbandonati una volta che cambiano le percezioni della minaccia o si verificano alterazioni di potere nazionale (Waltz, 1979). Secondo il neoliberismo istituzionalista, valori politici e morali condivisi costituiscono la base delle alleanze e, viceversa, disparità ideologiche possono determinare la fine della cooperazione se le nazioni si trovano in opposizione ai principi dei propri partner (Ikenberry, 2011). Infine, secondo Holmes (2024), le alleanze possono disgregarsi quando un membro chiave subisce una metamorfosi di politica estera che mina la credibilità o lo scopo dell’alleanza stessa.



La Partnership Strategica In Crisi


Attraverso le sue decisioni di politica estera di attaccare la Striscia di Gaza e invadere il Libano, la condotta militare di Israele sta mettendo in discussione i tre principi fondamentali che tengono insieme la sua alleanza con le potenze europee. Partendo dalla sua vantaggiosa posizione strategica, l'invasione dei territori palestinesi da parte di Israele ha portato la milizia Houthi basata nello Yemen a reagire attaccando tutte le navi occidentali e connesse ad Israele che transitano nello lo stretto di Bab al-Mandeb nel Mar Rosso (Motamedi, 2023). Dall’inizio della guerra, gli Houthi hanno sequestrato una nave, affondato altre due e colpito più di 80 cargo con missili e droni (Gambrell, 2024). Questi eventi hanno costretto molte compagnie a deviare le loro rotte intorno al Capo di Buona Speranza, aggiungendo 3.500 miglia nautiche al viaggio e aumentando enormemente i costi del transito attraverso il Mar Rosso. Da 417 navi che attraversavano il Mar Rosso nel 2023, il numero è sceso a meno della metà, arrivando a 196 nel Gennaio del 2024 (Soni & Coi, 2024).

Questi eventi hanno avuto un impatto negativo su molte delle maggiori compagnie di navigazione europee. Tra quelle che hanno sospeso i loro viaggi attraverso il Mar Rosso ci sono la Mediterranean Shipping Company (MSC), di origine italiana e la più grande al mondo; la CMA CGM francese, la terza più grande; il gigante danese Maersk; e la compagnia tedesca Hapag-Lloyd. Insieme, queste aziende rappresentano quattro delle cinque principali compagnie di navigazione globali e la loro decisione di evitare il Mar Rosso non solo comporterà costi a lungo termine per le loro operazioni, inclusi aumenti del prezzo del carburante, premi assicurativi e salari per l’equipaggio, ma si ripercuoterà anche sui consumatori (BBC, 2023). Solo nel 2018, l'industria navale dell'UE ha contribuito ad un valore lordo di 53,7 miliardi di euro al PIL del blocco (Statista, 2023).

Questi disagi nelle catene di approvvigionamento stanno anche riaccendendo l’inflazione nel settore manifatturiero europeo, con case automobilistiche Tesla e Volvo che hanno deciso di interrompere la produzione di veicoli elettrici nelle loro fabbriche in Germania e Belgio, e con il Mar Rosso che per la prima volta in 30 anni è privo di navi trasportatrici di automobili. Gli attacchi Houthi potrebbero anche influire sull’approvvigionamento di gas naturale liquefatto (LNG) verso l’Europa, dato che il 13% del LNG del continente passa attraverso il Mar Rosso (Van der Hagen, 2024). Pertanto, se Israele non sarà in grado di garantire la stabilità regionale, ma aggraverà la crisi attraverso un conflitto protratto, questo de-risking marittimo potrebbe trasformarsi in opposizione istituzionale nelle capitali europee. La European Community Shipowners’ Association, un’inflente lobby Europea, ha recentemente supportato il 40% della produzione di combustibili puliti e transizioni digitali ed energetiche più rapide. Gruppi industriali altrettanto potenti nei settori dell’energia e della manifattura potrebbero dunque resistere a legami più stretti con Israele se gli attuali trend dovessero persistere (Meade, 2024).


In secondo luogo, la condanna internazionale sul commercio di armi tra l’Europa e Israele, così come l’invasione terrestre di Israele in Libano il 1° Ottobre 2024, ha portato alcuni governi europei a chiamare embarghi sulle armi e limiti alle esportazioni, mettendo in discussione il pilastro militare della loro alleanza. La forma più vocale di opposizione è arrivata dalla Spagna e dall’Irlanda. L’11 ottobre 2024, il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez ha esortato l’intera “comunità internazionale a smettere di esportare armi al governo israeliano” (Kayali, 2024), mentre il ministro degli Esteri Jose Manuel Albares ha annunciato che la Spagna impedirà a qualsiasi nave che trasporta armi verso Israele di attraccare nei porti del paese (Stickings, 2024). Allo stesso modo, il Senato irlandese sta ora esaminando un disegno di legge sull'embargo delle armi che prevederebbe “restrizioni sul transito e l’esportazione di armi da guerra da e attraverso lo Stato [dell’Irlanda] verso lo Stato di Israele” (Houses of the Oireachtas, 2024). Sebbene questi paesi non siano grandi fornitori di armi, le loro preoccupazioni suggeriscono una crescente divergenza politica a livello europeo.

Infatti, come già accennato, alleati più vicini a Israele stanno anche prendendo i provvedimenti necessari per limitare o ridurre il loro coinvolgimento militare nel conflitto. L’Italia, il terzo maggior esportatore di armi verso Israele, con vendite di armi per un totale di 13,7 milioni di euro nel 2023 (Gritten, 2024), si è recentemente opposta agli attacchi di Israele contro i peacekeeper italiani della Forza di Interposizione delle Nazioni Unite in Libano (UNIFIL), di cui l’Italia è il maggiore contributore di truppe (Middle East Monitor, 2024). Questo ha spinto il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto a dichiarare che le azioni di Israele “potrebbero costituire un crimine di guerra” (Kayali, 2024) e i partiti di opposizione italiani a chiedere un divieto totale alle esportazioni di armi (Middle East Monitor, 2024). Il 30 ottobre 2024, il segretario agli Esteri britannico David Lammy ha anche annunciato che le licenze per parti di aerei da combattimento, elicotteri e droni sarebbero state immediatamente sospese per Israele (Blewett, 2024). Inoltre, nel Febbraio del 2024, un tribunale olandese ha ordinato al governo di sospendere l’esportazione di parti di caccia F-35 verso Israele, portando all’emergere di simili cause in Francia e Danimarca (Stickings, 2024).

Infine, la dimensione politica dell’alleanza tra Europa e Israele è stata messa sotto pressione a seguito del riconoscimento dello stato di Palestina da parte di Norvegia, Spagna e Irlanda nel Maggio del 2024. Questo ha portato il numero di membri dell’ONU che riconoscono ufficialmente la Palestina a 146, con Israele che ha condannato la decisione affermando che essa rafforza Hamas e giustifica la diffusione dell’Islam militante nel Medio Oriente (Landauro et al., 2024). Le tensioni diplomatiche sono state ulteriormente esacerbate dalle richieste di leader britannici di sanzionare i ministri della Sicurezza e della Finanza israeliani Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich per i commenti di questi ultimi che giustificavano la fame di due milioni di persone a Gaza come ‘morale’ e denominavano ‘eroi’ i coloni che avevano ucciso un diciannovenne in Cisgiordania (Mullah, 2024).



L'indebolimento del Ruolo Normativo dell’UE


Il ruolo dell’Europa come sostenitrice di Israele sta esercitando una pressione diplomatica senza precedenti sui leader del continente, danneggiando al contempo la reputazione del blocco come difensore dei diritti umani e del diritto internazionale. Infatti, le azioni di Israele non solo hanno messo in discussione il partenariato internamente, riducendo fiducia tra gli stessi alleati, ma anche esternamente, minando la credibilità stessa dell’alleanza come associazione di democrazie agli occhi della società internazionale.

Nell’Ottobre del 2024, circa 42.718 palestinesi sono stati uccisi a Gaza. 1,9 milioni sono stati sfollati internamente, 1,8 milioni soffrono di alti livelli di insicurezza alimentare e la povertà è salita al 74,3%, colpendo gravemente 4,1 milioni di civili e riportando lo sviluppo della Striscia ai livelli degli anni 50 (UNRWA, 2024). Secondo Amnesty International (2023), ci sono ampie prove di crimini di guerra poiché “le forze israeliane hanno dimostrato una disumana indifferenza per le vite dei civili [...] distruggendo strade dopo strade residenziali, uccidendo civili su larga scala e demolendo infrastrutture essenziali”.

Inoltre, il 29 Dicembre 2023, il Sudafrica ha presentato un’istanza contro Israele presso la Corte Internazionale di Giustizia, riguardante presunte violazioni della Convenzione sul Genocidio del 1948 e citando i 75 anni di apartheid, 56 anni di occupazione e 16 anni di blocco della Striscia di Gaza (Powell, 2024). Alcuni mesi dopo, il procuratore capo della Corte Penale Internazionale, Karim Khan, ha annunciato che avrebbe richiesto mandati d’arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant, insieme a tre leader di Hamas, citando accuse di crimini contro l’umanità (Munster, 2024).

La misura della complicità dell’Europa nel conflitto attuale è quindi sottoposta a severe critiche. Questo è particolarmente di rilievo per i paesi del Sud Globale, che accusano l’Europa di ipocrisia e neocolonialismo, facendo riferimento al sostegno del blocco all’Ucraina e al suo apparente disinteresse per la Palestina. Secondo un sondaggio condotto in 16 paesi arabi, il 75% degli arabi considera le posizioni di Francia e Germania su Gaza “cattive o pessime” (Islam, 2024). Il Ministro e Presidente Eletto dell’Indonesia Prabowo Subianto ha recentemente affermato che i governi occidentali hanno “un insieme di principi per l’Ucraina e un altro per i palestinesi” (Hasselbach, 2024), mentre la Cina ha accusato l’UE di “ipocrisia e applicazione selettiva del diritto internazionale” (Ministero degli Affari Esteri della RPC, 2024). Zhang Jun, rappresentante permanente della Cina presso le Nazioni Unite, ha ulteriormente criticato gli stati europei per aver accusato ingiustamente la Cina di violazioni dei diritti umani nello Xinjiang mentre ora ignorano le sofferenze dei palestinesi (Global Times, 2023).

Infatti, nonostante i numerosi appelli per embargo sulle armi da parte di alcuni stati europei, l’UE rimane il secondo maggiore fornitore di armi ad Israele, avendo venduto armi per un valore di 1,76 miliardi di euro al paese tra il 2018 e il 2022. La Germania è di gran lunga il maggior fornitore europeo, avendo fornito a Israele circa il 30% delle sue armi tra il 2019 e il 2023, con esportazioni decuplicate dopo gli attacchi del 7 ottobre, passando da 32,3 milioni a 326,5 milioni di euro. Altri grandi fornitori europei tra il 2019 e il 2022 includono la Romania, che ha emesso licenze per un valore di 314,9 milioni di euro, l’Italia con 90,3 milioni di euro, la Repubblica Ceca con 81,55 milioni di euro e la Spagna con 62,9 milioni di euro (Bhiriain & Akkerman, 2024).

Inoltre, i carri armati Merkava israeliani, schierati a Gaza dall’inizio dell’invasione terrestre a fine Ottobre, utilizzano componenti per motori prodotti da MTU, una sussidiaria tedesca di Rolls Royce; mentre le corvette Sa’ar, navi da guerra costruite dal gruppo tedesco ThyssenKrupp Marine Systems, operano nelle acque intorno alla Striscia di Gaza. BAE Systems, una compagnia britannica, collabora con la tedesca Rheinmetall per produrre obici semoventi M109, utilizzati per bombardare aree densamente popolate in Palestina. Amnesty International ha trovato prove che indicano che questi sistemi impiegano munizioni al fosforo bianco, che possono gravemente ustionare la pelle, causare danni agli organi e sono soggette a restrizioni del diritto internazionale (Bhiriain & Akkerman, 2024).

L’opinione pubblica interna in tutto il continente sta inoltre minando la posizione dell’Europa come attore normativo globale. Secondo un sondaggio condotto nel Luglio del 2023, 6 paesi occidentali su 7 simpatizzavano maggiormente con i palestinesi rispetto agli israeliani. Tuttavia, in tutti e 7 i paesi, i cittadini hanno riconosciuto con ampio margine che i loro governi simpatizzavano maggiormente con Israele (Smith, 2023). In un sondaggio di Gennaio, il 61% della popolazione tedesca ha dichiarato che le azioni militari di Israele a Gaza non erano giustificate, date le alte vittime civili, mentre il 25% credeva che lo fossero. In un sondaggio di Ottobre, il 55% del pubblico olandese pensava che il governo dovesse essere più critico verso Israele, con solo il 6% che sosteneva la posizione opposta (Konečný, 2024). Infine, le proteste pro-palestinesi sono aumentate esponenzialmente dal 2023 e si sono diffuse in tutta Europa, con migliaia di persone da Londra a Roma che marciavano in nome della Palestina (Cetin, 2024).



Conclusione


Questo articolo ha cercato di dimostrare come la condotta militare di Israele stia mettendo in discussione la sua alleanza con l’Europa, minando al contempo il ruolo normativo di quest’ultima sulla scena internazionale. La ricerca ha tentato di evidenziare come il recente cambiamento retorico anti-israeliano da parte dei leader europei derivi dai requisiti contrastanti del “soft” e “hard power”. Da un lato, l’Europa desidera mantenere una stretta collaborazione con Israele a causa della posizione strategica del paese e della sua forza militare, particolarmente utile in una regione segnata da sentimenti anti-occidentali. Dall’altra, il coinvolgimento indiretto dell’Europa a Gaza e il suo sostegno a Israele stanno danneggiando il suo ruolo di difensore dei diritti umani e del diritto internazionale.

L’analisi ha sostenuto che, sebbene l’alleanza tra Europa e Israele sia stata tradizionalmente un moltiplicatore di forza per entrambi gli attori, le misure militari sproporzionatamente brutali adottate da Israele per contrastare la minaccia regionale di Hamas stanno iniziando a creare divisioni tra i due. Data la politica estera israeliana, la percezione di minacce esterne tra il paese e l’Europa si è notevolmente modificata. Di conseguenza, la credibilità dell’alleanza, ideologicamente basata su valori democratici, è stata messa in discussione a livello globale, non solo da governi del Sud Globale ma anche dall’opinione pubblica europea, sempre più solidale con la causa palestinese.

Falling Stars:
The EU-Israel Partnership Crisis


November 25th, 2024


 As the one-year anniversary of the October 7 attacks approached, European leaders began signaling a shift in their stance towards Israel. French President Macron called for a complete arms embargo on the country, stating that “the priority is [...] we stop delivering weapons” as “Lebanon cannot become a new Gaza” (Comerford, 2024; Livni, 2024). Days later, on October 15th, Italian Prime Minister Meloni announced that her government had “blocked everything” regarding arms export licences to Israel, in response to the country’s harming of Italian peacekeepers in Lebanon (Middle East Monitor, 2024). On the 2nd of September, the UK also announced the “immediate suspension of 30 licences for items used in the current conflict”, citing a “clear risk” they might be used in violation of international law (UK Government, 2024).These statements stand in stark contrast with the almost universal support which Israel received from European leaders following the 2023 attacks. Macron had vowed “unreserved solidarity” with Israel, even suggesting the establishment of an international coalition to counter Hamas (Caulcutt, 2024). The leaders of France, Italy, UK, and Germany had also issued a joint statement with the US, claiming that: “Our countries will support Israel” and “remain united and coordinate [...] as allies and as common friends [..] to ensure Israel is able to defend itself” (Magid, 2023). European Commission President Ursula von der Leyen personified this pro-Israel stance when she decided to project the Israeli flag on the Commission’s headquarters and emphasized Israel’s “right to defend itself – today and in the days to come” (Konečný, 2024).
What, then, is driving this recent shift in rhetoric among European leaders? The issue can be framed as a conflict between the requirements of soft and hard power. Europe often defines itself as a “a firm promoter and defender of human rights” (EEAS, 2024) and as a supporter of “the principles of international law” (EEAS, 2018). This idealistic image, however, currently clashes with its support for Israel, an ally that is going against the values Europe purportedly champions. This article will explore to what extent is Israel’s military conduct challenging its strategic partnership with the EU and undermining the latter’s legitimacy as a promoter of human rights and international law.

Europe and Israel’s Strategic Partnership


The strategic partnership between Israel and Europe is characterized by deep political, economic, and security ties. According to the European External Action Service, the relationship between the two is “one of the most wide-ranging and deepest relationships that the EU enjoys with any third country in the world” (EEAS, 2021). Similarly, in November 2021, the British and Israeli governments elevated the two countries’ diplomatic ties to those of a strategic partnership, signaling their mutual intent to deepen and expand cooperation (UK Government, 2023). The EU is also Israel’s biggest trading partner, accounting for 28.8% of its trade in goods in 2022 (European Commission, 2024).

Moreover, Israel has participated in several joint military exercises with European states. France’s Air Force has participated in the “Blue Flag” training exercises with Israel in the Negev desert on a biannual basis (Vincent, 2024). In 2020, Germany and Israel conducted their first-ever joint military exercise at the Nörvenich air base in western Germany, with an Israeli fleet including six F-16 fighter jets and two Gulfstream G-55 command planes (Eddy & Schuetze, 2020). Furthermore, in 2022, the 124th Squadron of the Israeli Air Force (IAF), the British Royal Air Force and the Cyprus Air Command conducted joint training exercises at the Palmachim air base in Israel, simulating maritime search and rescue missions in the eastern Mediterranean (Fabian, 2022). In the same year, several F-35I Adir jets from the IAF conducted a joint exercise known as “Lightning Shield” alongside four Italian F-53 jets, launching from the Israeli airbase of Nevatim (Fabian, 2022).
Geopolitically, Israel’s (1) location, (2) military and (3) system of government are what makes the country one of Europe’s strongest and most reliable allies in the Middle East. Israel is in fact located in close proximity to two economically significant maritime chokepoints for European trade: the Suez Canal and the Red Sea. Approximately 12% of global trade passes through these bodies of water and in 2022, around 30% of all EU imports from Asia traveled through them (European Commission, 2024). The Eastern Mediterranean shores of Israel are also an important arena of geopolitical competition for Europe, as anti-Western powers like Turkey and Iranian proxies vie for supremacy in the area, given its natural gas sources and power projection capabilities (Dentice, 2020). Having Israel block their efforts and act as a local stabilizer represents an asset for Europe.
Israel is also the third largest military in the Middle East (Dudley, 2022) with 169,500 active military personnel in its army, navy, and paramilitary, 465,000 reserve forces and 8,000 paramilitary forces (Al Jazeera, 2023). Israeli soldiers are often recognized as the best equipped, best trained, and most capable in the region, largely because of US military assistance (Dudley, 2022). Fundamentally, Israel is also the only country in the Middle East to possess nuclear weapons, with an estimated 24 nuclear-capable missiles and up to 200 deployable warheads, which act as a powerful deterrent against surrounding rivals (Butler, 2024).These statistics would hold limited significance for European powers if Israel were also not an ideologically aligned democracy in a region populated by autocratic and anti-Western regimes (Yahya, 2022). In fact, the country represents a powerful counterweight against the hegemonic and nuclear ambitions of Iran (Hunter, 2023), whose current government was born from and legitimized through a social revolution spurred by intense anti-Western sentiment (Göksel, 2019). In recent years, Iran has also greatly expanded its sphere of influence over the region through its “Axis of Resistance”, an anti-Israel, anti-Western alliance network composed by militias and governments spanning the Gaza Strip, Lebanon, Syria, Yemen, and Iraq (Rubin et al., 2024).

To better understand the Europe-Israel partnership, it is essential to view it through the theoretical frameworks which describe alliance formation and dissolution. According to Elefteriu (2023), alliances act as force multipliers: enhancing strategic postures via mutual political commitments; driving economic growth through reciprocal trade and investment; and expanding military reach through intelligence-sharing and joint training. Specifically, alliances are useful tools to counter adversarial pressures and offer the possibility, especially to middle powers, of operating grand strategies which would be individually unfeasible. Elefteriu (2023) also argues that reliability for allies and credibility for adversaries are the fundamental determinants of an alliance’s success.

Muhammad (2023) affirms that in the current multipolar world order, alliances can rapidly shift in response to changes in national interests, geopolitical realignments, or the emergence of new regional or global challenges. For neorealists, nations seek partners that can balance against common rivals but who are relinquished once threat perceptions change or shifts in power occur (Waltz, 1979). According to neoliberal institutionalism, shared political and moral values form the bedrock of alliances and, conversely, ideological disparities can prompt an end of cooperative efforts if nations find themselves in opposition to their partners’ principles (Ikenberry, 2011). Finally, according to Holmes (2024), alliances can break down when a key member undergoes a foreign policy metamorphosis that undermines the alliance’s credibility or purpose.

Challenging the Strategic Partnership


Through its foreign policy decisions to attack the Gaza Strip and invade Lebanon, Israel’s military conduct is challenging the three basic tenets which hold together its alliance with European powers. Starting with its strategic location, Israel’s invasion of the Palestinian territories has led the Yemen- based Houthi militia to retaliate by attacking all Western and Israeli-connected vessels passing through the Bab al-Mandeb strait into the Red Sea (Motamedi, 2023). Since the start of the war, the Houthis have seized one vessel, sank another two and targeted more than 80 cargo ships with missile and drone strikes (Gambrell, 2024). These events have forced many companies to reroute their vessels around the Cape of Good Hope, adding 3,500 nautical miles to their journey and massively increasing the costs of transiting through the Red Sea. From 417 ships crossing the Red Sea in 2023, the number has fallen to less than half, at 196 as of January 2024 (Soni & Coi, 2024).
These events have negatively affected many of Europe’s biggest shipping companies. Among those to have suspended their journeys through the Red Sea are the Italian-founded Mediterranean Shipping Company (MSC), the world’s largest; French CMA CGM, the world’s third largest; the Danish shipping giant Maersk; and the German transport company Hapag-Lloyd. Together, these comprise four of the top five shipping companies in the globe and their decision to avoid the Red Sea will not only cause long-term costs to their operations, including rising fuel prices, insurance fees and crew wages, but will befall onto consumers as well (BBC, 2023). In 2018 alone, the EU’s shipping industry contributed to a gross value of the bloc’s GDP of 53.7 billion euros (Statista, 2023).These supply chain disruptions are also reigniting inflation in Europe’s manufacturing sector, with carmakers such as Tesla and Volvo halting production of electric vehicles in their German and Belgian factories and with the Red Sea becoming car-carrier free for the first time in 30 years. The Houthi attacks may also affect supplies of liquefied natural gas (LNG) to Europe, given that 13% of the continent’s LNG comes through the Red Sea (Van der Hagen, 2024). Thus, if Israel cannot ensure regional stability but exacerbates the crisis through a protracted conflict, maritime de-risking may evolve into institutional opposition across European capitals. With the European Community Shipowners’ Association, a leading lobby, recently calling for 40% of clean fuel production and faster digital and energy transitions, similarly powerful industry groups across energy and manufacturing may eventually resist closer ties with Israel if current trends persist (Meade, 2024).
Secondly, international condemnation over Europe’s arms trade with Israel, as well as the latter’s ground invasion of Lebanon on October 1st 2024, have led some European governments to call for arms embargos and export limits, challenging the military pillar of their partnership. The most vocal form of opposition has come from Spain and Ireland. On the 11th of October 2024, Spanish prime Minister Pedro Sanchez urged the entire “international community to stop exporting arms to the Israeli government” (Kayali, 2024), while Foreign Minister Jose Manuel Albares announced that Spain will stop any ship carrying weapons to Israel from docking at the country’s ports (Stickings, 2024). Similarly, Ireland’s Senate is now considering an Arms Embargo Bill which would provide “restrictions on the transit and export of weapons of war from and through the State [of Ireland] to the state of Israel” (Houses of the Oireachtas, 2024). While these countries are not major arms suppliers, their concerns suggest growing policy divergence at the European level.
Indeed, as previously mentioned, closer Israeli allies are also taking the necessary steps to restrict or reduce their military involvement in the conflict. Italy, the third biggest arms exporter to Israel, whose sales of arms amounted to a total of 13.7 million euros in 2023 (Gritten, 2024), recently reeled against Israel’s attacks on Italian peacekeepers in the United Nations’ Interim Force In Lebanon (UNIFIL), to which Italy is the largest contributor of troops (Middle East Monitor, 2024). This prompted Italian Defence Minister Guido Crosetto to state that Israel’s actions “could constitute a war crime” (Kayali, 2024) and Italian opposition parties to call for a total ban on arms exports (Middle East Monitor, 2024). On the 30th of October 2024, the UK Foreign Secretary David Lammy also announced that licenses for parts of fighter planes, helicopters and drones would immediately be put on hold for Israel (Blewett, 2024). Furthermore, in February 2024, a Dutch court ordered the government to halt export of F-35 fighter jet parts to Israel, leading to similar lawsuits emerging in both France and Denmark (Stickings, 2024).
Finally, the political dimension of Europe’s Israeli alliance is coming under strain following the recognition of Palestinian statehood by part of Norway, Spain, and Ireland in May of 2024. This has raised the number of UN members officially recognizing Palestine to 146, with Israel condemning the decision by stating that it bolsters Hamas and justifies the spread of militant Islam (Landauro et al., 2024). Diplomatic tensions have been further exacerbated by calls from UK leaders to sanction Israeli Ministers of Security and Finance Itamar Ben-Gvir and Bezalel Smotrich over comments made by the two which justified the starvation of two million people in Gaza as ‘moral’ and denominated settlers who had killed a 19- year-old in the West Bank as ‘heroes’ (Mullah, 2024).


Undermining Europe’s Normative Role


Europe’s role as an Israel supporter is placing unprecedented diplomatic pressure on the continent’s leaders, while tarnishing the bloc’s reputation as a defender of human rights and international law. Indeed, Israel’s actions have not only challenged the partnership internally, by reducing reliability between fellow allies, but also externally, by undermining the alliance’s very credibility as an association of democracies in the eyes of international society.
As of October 2024, approximately 42,718 Palestinians have been killed in Gaza, with 1.9 million being internally displaced, 1.8 million experiencing high levels of acute food insecurity, and poverty skyrocketing to 74.3 per cent, severely affecting 4.1 million civilians and setting the development of the Strip back to the levels of the 1950s (UNRWA, 2024). According to Amnesty International (2023), there is ample evidence of war crimes as “Israeli forces have shown a shocking disregard for civilian lives [...] pulverized street after street of residential buildings, killing civilians on a mass scale and destroying essential infrastructure.”Moreover, on the 29th of December 2023, South Africa filed an application instituting proceedings against Israel before the International Court of Justice. These concerned alleged violations by Israel of the 1948 Genocide Convention and referenced the latter’s 75-year apartheid, 56-year occupation and 16-year blockade of the Gaza Strip (Powell, 2024). Months later, the International Criminal Court’s top prosecutor, Karim Khan, announced that he would be seeking arrest warrants for Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu and Defense Minister Yoav Gollant, along with three of Hamas’ leaders, citing allegations of crimes against humanity (Munster, 2024).
The extent of Europe’s complicity in the current conflict is thus coming under severe criticism. This is especially true for countries from the Global South, who accuse Europe of hypocrisy, neocolonialism, and double standards, with the latter referencing the bloc’s support of Ukraine and apparent disregard for Palestine. According to an opinion poll conducted across 16 Arab countries, 75% of Arabs view the French and German positions on Gaza as “bad or very bad” (Islam, 2024). Indonesia’s President-Elect Minister Prabowo Subianto has also recently claimed that Western governments have “one set of principles for Ukraine and another set of principles for the Palestinians” (Hasselbach, 2024), while China accused the EU of “hypocrisy and selective application of international law” (PRC Ministry of Foreign Affairs, 2024). Zhang Jun, China’s permanent representative to the UN, further criticized European states for unfairly charging China with human rights abuses in Xinjiang while they now neglect Palestinian suffering (Global Times, 2023).
Indeed, despite the many calls for arms embargoes by part of a select group of European states, the EU remains the second-largest arms supplier to Israel, having sold 1.76 billion euros worth of arms to the country between 2018 and 2022. Germany is by far the largest European supplier, having provided the country with around 30% of its weapons between 2019 and 2023, with exports increasing tenfold after the attacks on October 7, from 32.3 million to 326.5 million euros. Other large European suppliers to Israel between 2019 and 2022 include Romania, which issued export licenses worth 314.9 million euros, as well as Italy with 90.3 million euros, the Czech Republic with 81.55 million euros, and Spain with 62.9 million euros (Bhiriain & Akkerman, 2024).
Furthermore, Israel's Merkava tanks, deployed in Gaza since the ground invasion started in late October, utilize engine components produced by MTU, a German subsidiary of Rolls Royce; while Sa'ar corvettes, warships constructed by Germany's ThyssenKrupp Marine Systems, are also operating in the waters surrounding the Gaza Strip. BAE Systems, a UK company, collaborates with German firm Rheinmetall to produce M109 self-propelled howitzers, which have been used to shell heavily populated regions in Palestine. Amnesty International has uncovered evidence which indicates that these systems employed white phosphorus munitions, which can severely burn skin, lead to organ damage, and are restricted under international law (Bhiriain & Akkerman, 2024).
Domestic public opinion across the entire continent is also internally undermining Europe’s position as a normative global actor. According to a poll from July 2023, 6 out of 7 Western European countries sympathized more with the Palestinian side than the Israeli one. However, in all 7, citizens recognized by a wide margin that their governments sympathized more with Israel (Smith, 2023). In a January 2024 poll, 61 per cent of Germans said Israel’s military actions in Gaza were not justified given the high civilian casualties, while 25 per cent believed they were. In an October 2024 poll, 55 per cent of the public in the Netherlands thought that the Dutch government should be more critical of Israel, with only 6 per cent claiming it should be more supportive (Konečný, 2024). Finally, pro- Palestinian protests have exponentially increased since 2023 and widely spread across Europe, with thousands of people from London to Rome marching in the name of Palestine (Cetin, 2024).


Conclusion


This article has sought to demonstrate how Israel’s military conduct is challenging its alliance with Europe, while simultaneously undermining the latter’s normative role on the international stage. It attempted to demonstrate how the recent anti- Israel shift in rhetoric by European leaders stems from the competing requirements of soft and hard power. On the one hand, Europe wishes to maintain a close partnership with Israel because of the country’s strategic location and effective military force, particularly useful in a region marked by anti-Western sentiment. On the other, Europe’s indirect involvement in Gaza and support for Israel are damaging its role as a defender of human rights and international law.
The analysis has argued that, even though the alliance between Europe and Israel has traditionally been a force multiplier for the two actors, the disproportionately brutal military measures Israel has taken to counter the regional threat of Hamas are starting to drive a wedge between the two actors. Given Israel’s foreign policy decisions, threat perceptions between itself and Europe have greatly altered. In turn, the alliance’s credibility, ideologically based on democratic values, has been called into question at the global level, not only by governments in the Global South but also by domestic European publics, increasingly supportive of the Palestinian cause.

Bibliografia


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Giulio Damiani

Giulio Damiani è uno studente master in Relazioni Internazionali e Diplomazia all’Università di Leiden. Ha vissuto a Washington D.C. studiando principalmente processi di conflitto e storia Americana. Al momento, lavora come assistente e ricercatore a The Hague Center for Strategic Studies, un think tank olandese specializzato nella consulenza strategica e nella sicurezza internazionale. Il suo principale interesse accademico riguarda la competizione geopolitica tra gli stati uniti e la repubblica popolare cinese, nell’ambito della transiziona energetica, climatica e tecnologica. Altri suoi interessi sono l’America Latina, la politica estera Europea, e la geo-economia.

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