12 Novembre 2024
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Solo pochi giorni fa si è concluso lo spoglio delle elezioni americane che hanno reso Donald Trump bis il quarantasettesimo Presidente degli Stati Uniti. Con un margine di 69 voti, Trump ha ottenuto 295 grandi elettori contro i 226 della ex vicepresidente Kamala Harris. La campagna elettorale del tycoon è stata segnata da eventi drammatici, inclusi tre tentativi di attentato, uno dei quali lo ha ferito all’orecchio sinistro. Tuttavia, Trump ha mantenuto il suo stile deciso e polarizzante, che – nel bene o nel male – ha continuato ad attrarre l’attenzione e il sostegno di una larga parte dell’elettorato.
Decisivo negli “swing States”, il candidato repubblicano ha ottenuto un sostegno inaspettato tra i latinos e i cattolici. Se da una parte tra i cattolici appare meno sorprendente, è proprio l’appoggio dei latinos a stupire: una comunità che ha subìto in prima linea le sue politiche migratorie più dure, come il famigerato muro al confine con il Messico e il rafforzamento dei controlli alle frontiere. Eppure, per molti elettori latino-americani, la linea dura su immigrazione e confini sembra aver ceduto il passo a un’altra priorità: l’economia. È stata infatti l’enfasi che Trump ha posto sull’occupazione e sulla crescita americana, il suo motto America First, a parlare direttamente ai cuori di chi, pur di origine non americana, cerca nel sogno americano un futuro più stabile e prospero. Trump è riuscito così a trasformare un messaggio nazionalista in una promessa universale [1].
Nonostante il sorprendente supporto tra alcuni elettori latinos, non tutti guardano all’avanzata di Trump con lo stesso entusiasmo. I governi di Messico e Cuba, infatti, sono ben più scettici, preoccupati per l’impatto diretto che le sue politiche potrebbero avere sulle loro economie e stabilità politica. In Messico, il timore è che Trump riprenda con vigore la linea protezionistica già avviata nel 2016, minacciando accordi come il rettato di libero scambio, la cui revisione è prevista per il 2026. Un ritorno a misure più severe sul commercio e una stretta delle politiche migratorie potrebbero ridisegnare in modo netto i rapporti con il vicino nordamericano, con un aumento della militarizzazione e del respingimento al confine che metterebbero ulteriormente sotto pressione l’economia messicana. Per Cuba, le prospettive sono ancora più cupe. L’inasprimento dell’embargo commerciale, retaggio delle tensioni negli anni Sessanta, rischia di riportare l’isola a un isolamento soffocante, con un’economia già fragile che potrebbe collassare sotto nuovi divieti e sanzioni. In un contesto così complesso, le prospettive dei due paesi non sono promettenti [2]. Infatti, la combinazione di precarietà economica e politica anti-migratoria crea le condizioni ideali per l’emergere di instabilità e rischi per la sicurezza.
Dall’altra parte dell’oceano, la situazione appare altrettanto complessa, con la guerra in Ucraina e la crisi a Gaza che occupano i primi posti nell’agenda della politica estera americana. L’Unione Europea osserva con preoccupazione le possibili mosse di un’amministrazione Trump intenzionata a rinegoziare rapporti economici e militari, in particolar modo in riferimento alle nuove tariffe sulle importazioni europee e le riduzioni nei fondi per la difesa comune. Simili politiche potrebbero alterare sensibilmente gli equilibri economici e di sicurezza transatlantici, amplificando l’incertezza [3]. D’altra parte, se è vero che non tutti i mali vengono per nuocere, la riduzione drastica dei fondi da dell’amministrazione Trump potrebbe rivelarsi un’opportunità, incoraggiando gli Stati europei a intensificare i propri investimenti per evitare di trovarsi sprovvisti di difese con un conflitto alle porte.
Per quanto riguarda le trattative per “porre fine alla guerra in Ucraina in un solo giorno”, emergono voci su un piano di Trump, che potrebbe rivelarsi critico per la posizione e la sicurezza europea. Questo progetto, infatti, prevede la creazione di regioni autonome lungo una zona demilitarizzata, lasciando l’Ucraina in un limbo diplomatico e fuori dalla NATO. In tale scenario, l’indebolimento di Kiev la esporrebbe ulteriormente alle pressioni russe, portando l’intera regione a una situazione precaria, con conseguenze ben oltre i suoi confini [4]. Qualora questa si riveli la realtà, sarà fondamentale che l’Europa riesca a far valere la propria posizione sul tavolo delle trattative. Tuttavia, ciò sarà possibile solo se i paesi europei inizieranno fin da subito a lanciare segnali di autonomia dagli Stati Uniti, affermando la propria volontà e portando così una posizione forte e solida alle negoziazioni.
Mentre l’Europa attende le prossime mosse di Trump, a Tel Aviv il governo israeliano celebra la sua vittoria, accogliendo con favore l’eventuale ritorno a un rapporto privilegiato con Washington. Il primo ministro Benjamin Netanyahu, rafforzato dalla prospettiva di una nuova amministrazione repubblicana, si aspetta un sostegno ancora più esplicito rispetto a quello dell’era Biden, quando l’appoggio americano era velato da un’apparente neutralità e da sanzioni selettive. Tradizionalmente, i repubblicani si sono dimostrati più inclini a supportare Israele, e la possibilità di un rafforzamento di questa alleanza rischia di rendere più difficile un cessate il fuoco duraturo nella regione. Tuttavia, l’obiettivo di Trump di ridurre l’impegno statunitense nei conflitti internazionali potrebbe portarlo a un bivio: da un lato, il sostegno a Israele; dall’altro, il suo dichiarato desiderio di chiudere i fronti aperti all’estero. Non è escluso che la sua amministrazione cerchi di dare nuovo slancio agli “Accordi di Abramo” del 2020, che hanno avvicinato Israele a paesi come Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco e Sudan in un processo di normalizzazione. Mentre Tel Aviv potrebbe interpretare questa situazione come un via libera per intensificare la pressione su Gaza, le sfide geopolitiche che Trump troverebbe sulla sua strada potrebbero portarlo a mediare in modo inatteso, riaprendo spiragli diplomatici che Netanyahu potrebbe non gradire [5].
By Giada Pelleriti and
Gaia Sabellico
November 12th, 2024
Reading time: 5 minutes
Only a few days ago, the American election results confirmed Donald Trump as the 47th President of the United States. With a margin of 69 votes, Trump secured 295 electoral votes against former Vice President Kamala Harris’s 226. The tycoon’s campaign was marked by dramatic events, including three assassination attempts, one of which injured his left ear. Nevertheless, Trump maintained his decisive and polarizing style, which – for better or worse – continued to attract attention and support from a large portion of the electorate. Decisive in the “swing states,” the Republican candidate gained unexpected backing among Latinos and Catholics. While support from Catholics is less surprising, it is the Latino backing that stands out, as this community has been directly affected by Trump’s tougher immigration policies, such as the infamous border wall with Mexico and tightened border controls. Yet, for many Latino voters, the hard stance on immigration and borders has been outweighed by another priority: the economy. Trump’s emphasis on employment and American growth, through his slogan “America First,” resonated with those who, though not of American origin, seek stability and prosperity through the American dream. Trump managed to transform a nationalist message into a universal promise [1].
Despite surprising support among some Latino voters, not everyone views Trump’s return with the same enthusiasm. The governments of Mexico and Cuba, for example, are far more skeptical, concerned about the impact his policies might have on their economies and political stability. Mexico fears a return to the protectionist stance Trump began in 2016, threatening agreements like the free trade treaty, scheduled for review in 2026. Stricter trade measures and tightened migration policies could reshape relations with its northern neighbor, intensifying border militarization and repulsion that would strain Mexico’s economy. For Cuba, the outlook is even bleaker. The intensification of the trade embargo, a remnant of the tensions of the 1960s, risks plunging the island back into isolation, with its fragile economy at risk of collapse under renewed sanctions and restrictions. In this complex context, both countries face uncertain prospects [2]. The combination of economic precariousness and anti-migration policy creates ideal conditions for the emergence of instability and security risks.
Across the ocean, the situation appears equally complex, with the war in Ukraine and the Gaza crisis high on America’s foreign policy agenda. The European Union watches with concern as a Trump administration looks to renegotiate economic and military ties, especially with new tariffs on European imports and cuts in common defense funds. Such policies could significantly alter transatlantic economic and security balances, intensifying uncertainty [3]. On the other hand, if setbacks can sometimes lead to opportunity, the drastic reduction of funds from Trump’s administration might encourage European states to intensify their own investments, avoiding the risk of being defenseless with a conflict at their doorstep.
Regarding the negotiations to “end the war in Ukraine in a single day,” rumors suggest a Trump plan that could prove critical for Europe’s security and position. This plan, indeed, envisions creating autonomous regions along a demilitarized zone, leaving Ukraine in diplomatic limbo and outside NATO. Such a scenario would further weaken Kyiv, exposing it to Russian pressure and placing the entire region in a precarious situation, with repercussions beyond Ukraine’s borders [4]. If this becomes reality, Europe must ensure its position at the negotiating table. However, this will be possible only if European countries start sending signals of independence from the United States, establishing a strong and cohesive position for negotiations.
As Europe awaits Trump’s next moves, the Israeli government in Tel Aviv celebrates his victory, welcoming the potential return of a privileged relationship with Washington. Prime Minister Benjamin Netanyahu, strengthened by the prospect of a new Republican administration, anticipates more explicit support compared to the Biden era, where American backing was tempered by selective sanctions and apparent neutrality. Traditionally, Republicans have leaned toward supporting Israel, and the strengthening of this alliance could make a lasting ceasefire even more challenging. However, Trump’s goal of reducing U.S. involvement in foreign conflicts might put him at a crossroads: on one side, supporting Israel, and on the other, his stated desire to close open fronts abroad. His administration could aim to revitalize the 2020 “Abraham Accords,” which brought Israel closer to countries like the United Arab Emirates, Bahrain, Morocco, and Sudan. While Tel Aviv might interpret this as a green light to increase pressure on Gaza, the geopolitical challenges Trump would face could lead to unexpected mediation, reopening diplomatic channels that Netanyahu might not welcome [5].
[1] https://it.insideover.com/politica/perche-donald-trump-ha-conquistato-i-latinos.html
[2] https://www.internazionale.it/notizie/camilla-desideri/2024/11/09/america-latina-elezioni-trump
[5] https://www.terzogiornale.it/2024/11/08/ma-trump-e-interessato-alla-guerra-in-medio-oriente/
Giada, appassionata di diplomazia e diritti umani, è una studentessa di Relazioni internazionali e sicurezza globale all'Università la Sapienza di Roma. Con una solida base in ambito internazionale grazie alla sua laurea triennale in Scienze Politiche all'Università Luiss, Giada dedica il suo tempo nell'approfondimento di temi riguardanti i diritti umani. Dopo il corso alla UCL di Londra in Human Rights, il suo sogno sarebbe lavorare per le Nazioni Unite nell'aiuto di chi ne ha bisogno.
Gaia, fondatrice del Network Studenti di Sicurezza Italiani e Alumna LUISS con una laurea in Scienze Politiche e un Joint Master in European Security ottenuto presso la Luiss School of Government, prosegue attualmente i suoi studi in Geopolitics and Strategic Studies all’Università Carlos III di Madrid. Con un percorso accademico e professionale fortemente incentrato sulla sicurezza e gli studi strategici, Gaia coltiva una profonda passione per la NATO e ambisce a costruire la sua carriera futura all'interno dell'organizzazione.